Un’idea alternativa per passare il ponte del 25 aprile? Per me è stata una fuga (quasi) dell’ultimo minuto alle coloratissime Cinque Terre con una puntatina a Porto Venere.
Una bella avventura e una curiosa coincidenza: poco tempo fa scrivevo di Manarola nella top ten dei luoghi colorati in giro per il mondo e qualche settimana dopo eccomi tra le facciate dei suoi edifici variopinti…ma andiamo con ordine.
Metti insieme quattro ragazze tutte più o meno esaurite, tanta voglia di evadere dai soliti schemi, l’ispirazione giusta, un pizzico di fortuna e il gioco è fatto.
In valigia lo stretto indispensabile: vestiti comodi, maglie pesanti e leggere, stile cipolla, ombrello e scarpe adatte a camminare. Mezzi di trasporto: treno, gambe e battello.
Le aspettative non sono altissime: il meteo chiama pioggia tutto il weekend e in effetti sabato arriviamo sotto un bel diluvio, dopo una levataccia per prendere il primo sgangheratissimo intercity Milano – Monterosso. Consiglio spassionato: se non siete particolarmente mattinieri, non prendetevi all’ultimo minuto per prenotare il treno o rischierete di finire a dover viaggiare all’alba. Tuttavia non posso dire che ci vada male: troviamo una promozione che ci permette l’accesso in prima classe a un prezzo stracciato e abbiamo lo scompartimento tutto per noi. Il viaggio è tranquillo e sonnacchioso e, alla discesa, la prima immagine che ci accoglie è una vista stupenda sul mare. I binari di Monterosso sono più in alto rispetto alla strada e questa posizione regala un bel panorama ai nuovi arrivati: ci sentiamo subito in vacanza nonostante il tempo grigio.
Usciamo e ci precipitiamo al parapetto che ci divide dalla spiaggia. Guardando verso est intravediamo spuntare tra le nuvole Vernazza, Manarola e Rio Maggiore. Corniglia, la terzultima delle Cinque Terre, è nascosta da uno dei versanti della costa.
Abbiamo prenotato un appartamento poco lontano dalla stazione, più economico di un hotel con il plus di poterci gestire pranzi e cene come preferiamo. Siamo in anticipo, quindi ci dirigiamo verso la città, dove ci regaliamo una veloce colazione al bar Centrale, un’istituzione che non manca mai nelle piccole città italiane. Raggiungere il centro dalla stazione è davvero facile: circa 5 minuti a piedi seguendo la spiaggia passando per una breve galleria che buca uno dei colli che sovrastano la cittadina.
Passiamo il primo giorno a dormicchiare in attesa che spiova e verso le 16.00 ci lanciamo finalmente alla scoperta del borgo che ci ospita.
Monterosso al Mare, per gli amici semplicemente Monterosso, ci dicono essere la più popolosa delle Cinque Terre, la prima partendo da ovest e l’unica con spiagge sabbiose non molto spaziose che la rendono la più turistica. La parte sulla costa è quella più nuova della cittadina, mentre spostandosi verso i colli si apre il borgo medievale o Monterosso Vecchio.
Il giro di ambientamento è più complesso del previsto: le cose da vedere sono tante. Facciamo una veloce tappa alla Pro loco del posto, poco distante dall’ingresso della stazione, per farci un’idea. La ragazza al bancone ha una pessima giornata, ci sconsiglia i sentieri per oggi e fa una veloce e disordinata lista delle attrazioni del posto. Come prima cosa andiamo a caccia della statua del Gigante. La ragazza della Pro loco non l’ha nemmeno nominata, ma una delle mie compagne di viaggio sa che c’è e ci invoglia a cercarla. Tutto quello che sappiamo è che dovrebbe trattarsi di uno scoglio scolpito con le sembianze di Nettuno, il dio del mare. Sbagliamo strada e invece di dirigerci verso la fine della spiaggia di Fegina, dove la statua effettivamente si trova, andiamo dal lato opposto, verso il centro della città.
Saliamo sul colle San Cristoforo dove, mentre cerchiamo di capire da dove entrare al convento dei Cappuccini, costruzione del 1.619 visibile da tutte le Cinque Terre, ci imbattiamo nella chiesetta di San Francesco, una piccola costruzione adorabile, con un’unica navata circondata da altari in legno scuro. È quasi vuota quando entriamo e si sentono i canti dei frati che stanno pregando dietro all’altare principale. L’atmosfera all’interno dà un gran senso di serenità e pace.
Mi colpisce in particolare una targa appesa alla porta d’ingresso: “entra per pregare, esci per amare”. Non so dirvi perché, ma mi dà un gran senso di pace e positività.
Uscite continuiamo a salire fino al cimitero del convento, dove decidiamo di cambiare direzione e tornare verso la città.
A ogni angolo sul colle e sulla via costiera spuntano citazioni di Eugenio Montale, incise su vasi, scritte sui muri. Il poeta in gioventù trascorreva le vacanze con la famiglia proprio a Monterosso e qui conobbe Anna degli Uberti, ispiratrice e protagonista del ciclo di Arletta.
La città gli è rimasta molto affezionata e, tra le attrazioni che propone, c’è anche la villa dove soggiornava.
Quando viaggio cerco sempre di seguire una regola: mai fare due volte la stessa strada. Raramente rispetto un itinerario, trovo molto più divertente perdermi, letteralmente e finire con lo scovare angoli che normalmente nemmeno vedrei seguendo gli itinerari più turistici. Con questo spirito con le mie compagne di viaggio decidiamo di scendere per un’altra scala, cercando una “collina piena di limoni” che una delle tre ragazze che sono con me aveva scovato in un giretto in solitaria fatto mentre dormivamo in appartamento. Siamo quasi tentate di sgraffignarne qualcuno tanto sono belli e profumati.
Osservando il paesaggio che mi circonda trovo difficile credere di essere ancora in nord Italia. Il profumo di agrumi nell’aria, le stradine strette, i saliscendi, il rumore delle onde, le facciate colorate delle case e la gran quantità di limoni e fichi d’india mi ricordano tantissimo la Sicilia o le Marche.
È quasi ora di aperitivo/cena. Stiamo esplorando il centro del borgo vecchio quando ci imbattiamo nell’Enoteca Internazionale. Sembra che i limoni di Monterosso siano speciali e da provare, quindi snobbiamo il listino dei vini e ordiniamo una limonata con qualche bruschetta al pesce: un’esperienza dei sensi. Il pesce è buonissimo, la limonata di più. Pura polpa di limone, acida ma non insopportabile. Riesco a berla senza zucchero e ne vorrei un altro litro almeno.
Ci sono un sacco di gatti a Monterosso al Mare.
Sta ricominciando a piovere, è il caso di tornare.
Seguiamo la stradina sulla costa sempre a caccia della statua del Gigante.
È in fondo all’ultima spiaggia, oltre un piccolo parcheggio e non si tratta di uno scoglio scolpito, ma di una vera e propria statua in cemento armato e ferro che sorregge quel che rimane di una terrazza a forma di conchiglia. Non mi sembra Nettuno: la posizione mi ricorda quella di Atlante, il titano della mitologia greca che sorregge la volta celeste sulle spalle. Sembra sofferente e triste. È lì, in quella posizione, da 106 anni, da quando Arrigo Minerbi di Ferrara e l’ingegnere Levacher, su commessa di Giovanni e Juanita Pastine, monterossini tornati dall’Argentina dopo aver fatto fortuna, l’hanno creato e messo lì. È alto 14 metri e pesa 1700 quintali. Originariamente era uno stupendo dio del mare e adornava quella che era una villa molto elegante e curata, di cui ora rimane solo una piccola torre. Nettuno è sopravvissuto alla seconda guerra mondiale, che gli è costata le braccia, il tridente e una gamba. Nel 1966, poi, è sopravvissuto a una forte mareggiata, in seguito alla quale è stato restaurato.
La sua storia mi affascina un sacco: un dio martoriato, eppure ancora lì, in tutta la sua imponenza, provato, ma non sconfitto.
Inizia a piovere, torniamo in appartamento senza aver visto la villa di Montale.
Vediamo se riusciamo a farlo domani. Programma della giornata escursione sui sentieri, pioggia o non pioggia.