Se c’è una cosa che ho imparato dal Cammino è che al pellegrino non importa da dove parte, non importa dove arriverà, o il come, o il quando: gli importa solo con chi è perché. Ecco il motivo per cui Daniele Errico e suo figlio hanno intrapreso questo viaggio verso Santiago de Compostela.
Sono ormai passati 10 anni dal mio Camino de Santiago e, nonostante tutte le avventure passate dopo, rimane ancora l’esperienza più forte della mia vita.
Ho letto tanto sul Cammino, soprattutto sulle sue persone, e non smetterò mai di sorprendermi di quanti “chi” e quanti “perché” portino le anime più svariate su queste meravigliose vie millenarie che percorrono il Vecchio Continente.
Di recente è passato tra le mie mani un libro sul Cammino di Santiago auto-pubblicato di Daniele Errico intitolato “Escargot: In Cammino con mio figlio. Da Brindisi a Santiago de Compostela“.
Un volume che scandisce capitolo dopo capitolo 48 giorni (e non solo) di pedalate verso Santiago di un padre – Daniele – e di suo figlio Riccardo.
In ognuna delle 200 pagine circa il lettore viene catapultato in una dimensione pura del Cammino, una relazione padre-figlio che rinasce grazie al Cammino, una dimensione spirituale che porta – sul Cammino – a riconcigliarsi con sé stessi.
Partiti un paio di anni fa direttamente da casa (senza scegliere una partenza del Cammino di Santiago classica), vicino a Brindisi, i due protagonisti hanno percorso le tappe del Cammino di Santiago (ma ancora prima quelle della Via Francigena) in sella alle loro bici.
Su questo libro adatto sia a chi il Cammino lo a già percorso che a chi ci sta facendo un pensiero, ho avuto l’occasione di confrontarmi con l’autore… e da questo confronto è nata un’intervista a 11 domande botta-risposta dedicata, come dice Daniele Errico…
Alle persone che hanno indicato un sentiero nella nostra vita.
11 domande: intervista all’autore del libro!
1) Ritieni che il tuo libro abbia diverse chiavi di lettura?
2) Raccontaci del viaggio dal punto di vista tecnico, i suoi passaggi fondamentali…
Da Roma abbiamo raggiunto Torino sempre sulle orme della Via Francigena del Nord.
Da Torino siamo entrati in Francia seguendo la Val di Susa, fino a Monginevro, e poi abbiamo raggiunto Saint-Jean-Pied-de-Port (il punto considerato di partenza per il Cammino di Santiago “classico”).
Da Saint-Jean abbiamo seguito il Cammino Francese fino a Santiago de Compostela. Abbiamo percorso quasi 3600 chilometri in 48 giorni con una media di circa 80 chilometri al giorno.
3) E il “viaggio interiore”, invece, come è stato?
Pedalare per tanti chilometri e stare con sé stessi aiuta a liberare la mente da tutto il superfluo. Più proseguivo con l’avventura e più ritrovavo la persona che volevo essere molto tempo fa, le esigenze del quotidiano ti portano a barattare i sogni che hai fatto con qualcosa di più concreto… ma se non abbiamo sogni, che vita è?
Pedalare in mezzo alla natura ti fa capire di come le città siano soffocanti. La semplicità di una tenda in un campo, ti fa capire di quante cose che crediamo imprescindibili, in realtà non servano proprio a niente. Viviamo un momento di completa disgregazione da noi stessi e credo che questo non sia bello.
Io ho rincominciato a stare con me stesso e ci sto bene.
4) Come è cambiato il rapporto padre-figlio dopo questa avventura?
Volevo coinvolgerlo dall’inizio, ma sapevo che sarebbe stato difficile, poi invece ha deciso che sarebbe partito con me e in due mesi abbiamo avuto la forza di gettare le maschere di padre e di figlio e ci siamo conosciuti in una dimensione completamente diversa, più pura.
5) Quali sono i ricordi indelebili di questo viaggio?
6) Nel libro parli di ritmi di vita inumani che stritolano l’essere umano, pensi che viaggiare sia una cura a questo stato?
7) Il libro non si conclude con il vostro arrivo a Santiago, perché?
Io invece sono letteralmente andato a sbattere contro il muro del “tornare alla realtà”. È stata durissima e ho passato diversi mesi in agonia mentale. Non avevo voglia di riprendere i ritmi precedenti e ho sofferto molto. Quando l’anima si ammala, anche il corpo prima o poi cede e nel 2015 mi è stata diagnosticata la Miastenia Gravis, malattia autoimmune piuttosto grave. Dopo aver passato un paio d’anni difficili, in salita, ho incominciato a prenderci le misure e ho visto davanti a me dei tratti pianeggianti.
Nel 2017 ad agosto, ho incominciato a scrivere il libro, che è uscito di getto, come un fiume in piena. La prima stesura è stata fatta in un mese. Mi sono reso conto scrivendo, che la Miastenia faceva ancora parte del viaggio e mi è sembrato giusto raccontarla.
8) Cosa non rifaresti di questo viaggio?
Il mio viaggio non sarebbe mai stato realizzato se non mi fosse stata tolta la patente, per esempio.
Prendendo ad esempio la bicicletta come esperienza di vita, credo che non si possa pretendere di non cadere mai: l’importante è sapersi rialzare. La vita spesso di fa assaggiare l’asfalto, ma la differenza, la farà la tua capacità di volerti rimettere in sella.